Vaccini sì, vaccini no: è più che mai acceso il dibattito sui benefici e i rischi della vaccinazione. Nel frattempo la società diventa sempre più vulnerabile, esposta a malattie infettive emergenti o da cui ci si credeva ormai al sicuro
È forse il più grande fra i successi scientifici del secolo scorso, in grado di ridurre, e in alcuni casi di eradicare, l’incidenza di malattie infettive devastanti come la poliomielite , la difterite e il vaiolo. Parliamo di vaccinazione: il metodo che “prepara” l’organismo, fornendogli gli strumenti per riconoscere e combattere i microbi patogeni. Eppure, oggi, in Italia e all’estero, una parte della popolazione non riconosce il “valore sociale dei vaccini” tanto da rifiutarne l’inoculazione ai propri bambini. Questi atteggiamenti costituiscono un rischio per la salute della popolazione tutta (soprattutto per i più vulnerabili: bambini, anziani e immunodepressi) a cui viene a mancare la protezione data dall’ “immunità del gruppo”.
Un po’ di storia. Nel 1749 Edward Jenner dimostra che l’inoculazione in bambini sani del liquido contenuto nelle pustole di mungitrici colpite da vaiolo bovino (una forma leggera della malattia) è in grado di proteggere dall’infezione mortale che colpisce l’uomo. A partire dalla fine dell’800, Louis Pasteur e la sua “banda” di scienziati danno il via a studi grazie ai quali sono stati generati i vaccini vincenti contro la rabbia, la peste e il colera. Pasteur era affascinato dal potere dei microorganismi sull’uomo (pare dicesse: «i microbi avranno l’ultima parola») e ha dedicato la propria vita a studiarli, ammirarli e combatterli. Cosa succede se oggi si rinuncia all’immunità data dalla vaccinazione di massa? Se si lascia ai microbi l’ultima parola?
L’Istituto Pasteur dedica una sezione speciale di informazione, approfondimento e dibattito su questo tema con riferimento al documento “Vaccines” pubblicato dall’Accademia dei Lincei
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